Si chiama Wash Out è ed un’applicazione che offre il servizio di lavaggio a domicilio di auto e moto. Puoi lasciare comodamente la tua auto parcheggiata ovunque e cliccare sull’app. Mentre sei impegnato nelle tue faccende, altre braccia – sconosciute e sottopagate – lucidano a specchio la tua macchina proprio lì, lungo il marciapiede dove l’hai lasciata, come dei lustrascarpe qualsiasi.
È un altro capitolo, l’ennesima variante: lavoratori in bicicletta o in motorino dotati di spazzolone e detersivo effettuano un servizio di lavaggio waterless, ovvero rigorosamente senz’acqua, così non sporcano il suolo pubblico.
Loro, i lavoratori, sono quasi tutti stranieri. Hanno quasi tutti il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria. Il contratto è una mera ‘collaborazione coordinata e continuativa’: come i rider di Foodora. La paga? Difficile dirlo: nell’ultimo mese – dicono alcuni di essi – è drasticamente calata. All’inizio venivano promesse 7,5 euro l’ora. Poi l’azienda ha deciso di passare alla paga a cottimo. E la retribuzione è diventata un mistero che questi lavoratori scoprono soltanto a fine mese, frutto di un calcolo incomprensibile dell’algoritmo e sempre più risicata e misera a fronte delle decine di macchine lavate ogni giorno.
Aziz (nome di fantasia) è uno di questi braccianti digitali. È un rifugiato e parla molto poco l’italiano ma riesce a scriverlo in stringati messaggi. Il suo contratto scade fra poco e ha paura. Lava le macchine a Milano, praticamente tutto il giorno. Non saprebbe che altro fare. Quei pochi soldi sono necessari per mantenere la sua piccola casa e resistere in questa città a volte molto feroce. La sua è una mountain bike, ricorda di averla aggiustata da solo, con una chiave inglese e un rattoppo per la camera d’aria. Ha solo questo mezzo per spostarsi a Milano. Null’altro. Dal telefono riceve gli ordini. I minuti sono preziosi e lui si prende qualche rischio passando col rosso agli incroci. All’inizio non lo sapeva che il rosso valesse anche per le biciclette e le automobili lo hanno sfiorato, quasi spinto sul marciapiede. Là, sul marciapiede, se ne tornano tutti prima o poi, come i rifiuti, le cartacce abbandonate, i mozziconi delle sigarette.
Ma Wash Out è un gioiello, per chi l’ha inventata. Ai piani alti che sembrano altissimi se visti dal basso, Wash Out vale tanti soldi pur essendo per ora solo una start-up con grandi margini di miglioramento sul mercato – nuovo, nuovissimo – che ha aperto. A febbraio, la società ha ottenuto un round di finanziamento da un milione di euro che ha visto la partecipazione di un investitore major come Telepass, braccio di Atlantia Spa, la società nota perché detiene Autostrade per l’Italia.
Il business è quello dei servizi agli utenti-automobilisti: «Dietro all’accordo», afferma Chirstian Padovan, uno dei tre fondatori di Wash Out, «c’è la volontà di facilitare l’utente nel rapporto quotidiano con il proprio autoveicolo» (cfr. https://www.ninjamarketing.it). Wash Out è una start-up che fa parte dell’incubatore d’impresa dell’Università Bocconi e della Camera di Commercio di Milano, Speed MI Up. Non tutti i progetti d’impresa sviluppati nascondono dinamiche di lavoro sottopagato come questo e certamente i fondatori diranno che la formula del contratto co.co.co non è la peggiore in circolazione, soprattutto tu, Aziz, hai «la libertà di scegliere quando lavorare, decidere i tuoi orari ed i giorni in cui sarai operativo».
Certo, tu pensi. Ma non sai mai se hai lavorato abbastanza per ottenere una paga dignitosa. Non sai mai quello che ti aspetta a fine mese. Hai cominciato a tenere la conta delle macchine lavate, ogni turno, ogni giorno. Arrivi sul marciapiede, metti la spunta su un taccuino chiuso nella tasca del pantalone. Inizia a lavare la macchina con i prodotti forniti dall’azienda. I passanti guardano ma vanno oltre.
Sei solo un’ombra fra le ombre.