Sentenza Foodora: l’impeto creativo della Corte d’Appello di Torino

Sentenza Foodora: l’impeto creativo della Corte d’Appello di Torino

Abbiamo potuto finalmente esaminare il testo della sentenza della Corte d’Appello di Torino sul processo Foodora. Giampaolo Coriani ci spiega perché in sede di Terzo Grado il giudizio potrebbe non reggere.

 

Ebbene sì, ho sbagliato di brutto. Quando è uscito il dispositivo della sentenza della Corte d’Appello di Torino nella causa di lavoro intentata da alcuni riders nei confronti di Foodora, con un accoglimento parziale della domanda ex art. 2 D. Lgs. n. 81/2015 (il cd. Jobsact), non potevo (giuridicamente) credere che l’unica ragione dell’accoglimento fosse legata alla norma citata.

Non ci volevo credere perché quell’articolo dice testualmente:

«A far data dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro».

Ingenuamente pensavo che, se il legislatore scrive la “disciplina del lavoro subordinato” non può che intendere tutta la disciplina del lavoro subordinato, non solo il trattamento economico, altrimenti avrebbe scritto il trattamento economico, e così via.

E invece è così.

La Corte ha confermato l’impianto della sentenza di primo grado, sia nella ricostruzione del fatto che nella valutazione negativa circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

La ragione del mancato riconoscimento starebbe nel fatto che il lavoratore non sarebbe stato obbligato a rendere la prestazione e non avrebbe avuto conseguenze negative se non si fosse presentato nello “slot” che gli era stato assegnato (ferme ovviamente la totale gestione della datrice dell’attività lavorativa effettiva, anche se per mezzo di una app) eccetto il pacifico e marginale effetto che sarebbe stato sostituito da altri. Che poi è quello che accade se il lavoratore non si presenta sul luogo di lavoro anche in un normale rapporto di lavoro subordinato, anche se la procedura è più complessa.

Ma, negata la subordinazione, in un impeto di generosità, o di senso di colpa, la Corte ha ritenuto di utilizzare l’art. 2 D. Lgs. n.  81/2015 in modo creativo, sostenendo che il legislatore non intendeva applicare la disciplina della subordinazione tout court, come da dato testuale, ma creare un terzo genere ibrido, cioè un contratto di collaborazione che rimane autonomo ma per “ogni altro aspetto”, intesi come sicurezza, igiene, retribuzione, limiti di orario, ferie e previdenza, sarebbe stato regolato secondo il contratto collettivo di categoria.

Solo che, quando prende in esame la domanda sui licenziamenti, ritiene di respingerla posto che “non vi è riconoscimento della subordinazione”.

Come se la disciplina dei licenziamenti non fosse parte integrante della disciplina della subordinazione, e ciò a discrezione della Corte d’Appello, che è stata già generosa, e mica si può approfittare più di tanto.

In sostanza, il rapporto di lavoro rimane autonomo, allo stesso si applicano le tutele del rapporto subordinato quanto a retribuzione, orario, sicurezza (anche qui si aprirebbe un capitolo importante ma non rileva nello specifico) ma non quanto ai licenziamenti.

Ora, mentre faccio mea culpa perché mi rifiutavo (giuridicamente e logicamente) di accettare un’ipotesi di questo genere, cioè un controsenso giuridico, la mia preoccupazione riguarda i lavoratori che ora molto probabilmente si vedranno impugnare in Cassazione la sentenza.

Come deciderà la Suprema Corte?

Ecco, già mi sento in colpa perché credo che molto difficilmente potrà confermare un corto circuito di questo genere.

L’unica cosa che ci si può augurare è che accolga invece la tesi principale ed accerti la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, come in effetti è (come è appena accaduto in Spagna) oppure, se davvero può applicarsi l’art. 2 D. Lgs. n. 81/2015, allora lo faccia fino in fondo e confermi anche l’illegittimità dei sostanziali licenziamenti, dichiarando che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applica integralmente e non a macchia di leopardo, come dice la norma.

Ogni altra valutazione sarebbe disastrosa, anche per l’affidamento ingenerato nei ricorrenti.

[testo a cura di Giampaolo Coriani]

Davide Serafin

Di Alessandria. Ha scritto gli ebook '80 euro di Ingiustizia Sociale' – 2016, V come 'Voucher – La nuova frontiera del precariato' – 2016 e 'Il Volo dei Gufi' - 2018, raccolta degli articoli scritti per i Quaderni di Possibile negli anni (2015-2018) - www.ilvolodeigufi.com - www,giustapaga.it - twitter: @yes_political
Chiudi il menu