Niente proroga di contratto. È questa la risposta del datore di lavoro per cinque braccianti che hanno osato chiedere un aumento retributivo e di ricevere finalmente una giusta paga. Dopo dieci anni di lavoro, l’azienda di Isola Sant’Antonio chiude loro la porta in faccia. In dieci anni i cinque sono passati attraverso tutte le tipologie contrattuali a termine o a chiamata, con rinnovi decisi di volta in volta. È come stare pericolosamente su un affilato crinale: appena fai richieste, sei fuori.
Venivano pagati quattro-cinque euro l’ora. Non di più. Lavoratori braccianti della Bassa Valle Scrivia. Sempre gli stessi luoghi. Isola Sant’Antonio dista soli sette virgola cinque chilometri da Castelnuovo Scrivia, epicentro nel profondo nord dello sfruttamento della manodopera agricola.
La mancata riassunzione è stata motivata con argomenti insussistenti, pretestuosi, che non trovano giustificazione alcuna se non in uno specioso paternalismo, ovvero quel comportamento del datore di lavoro basato sulla considerazione che quanto viene dato al dipendente non spetti di diritto bensì è benevola concessione: «questi lavoratori non lavorano come gli altri, sono indisciplinati, avevano addirittura proclamato uno sciopero», riporta in un comunicato il sindacato CUB.
Riportano le cronache che la medesima azienda era stata scoperta da Guardia di Finanza e dalla Direzione provinciale del Lavoro ad impiegare manodopera in nero:
Guardia di Finanza e della Direzione provinciale del Lavoro hanno individuato presso l’azienda agricola Balduzzi Fiorenzo e Stefano di Isola Sant’Antonio 15 lavoratori in “nero” su 30, tutti di origine africana, 209 casi di lavoro irregolare in quattro anni, 4.000 giornate di lavoro irregolare (10 luglio 2014, radiopnr.it).
Ad Isola Sant’Antonio si continueranno a coltivare gli spinaci, i meloni, le angurie. A raccogliere e a confezionare per la GDO, la Grande Distribuzione Organizzata. Sarebbe il caso si cominciasse a trattare i lavoratori con maggiore riguardo, specie se sono messi in condizione di debolezza da un sistema spietato che scarica in modo irriguardoso sugli ultimi i costi che i marchi della GDO non vogliono sostenere. Questa è grave ingiustizia e non può più essere taciuta.