Nel 1985 l’imprenditore Sir Peter Wood diede il via al boom dei call center fondando Direct Line, la prima compagnia assicurativa ad operare esclusivamente per via telefonica.
Da quei tempi sono passate delle ere geologiche e la tecnologia ha fatto dei grandi avanzamenti. Ne parlava anche Riccardo Staglianò nel 2016, col libro ”Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro” (Einaudi), di come Amelia – il software dell’IPSoft – avesse avviato il conto alla rovescia sulla fine dell’assistenza clienti fatta da umani.
Fotografando la situazione del nostro Paese, nel settore si contano 80.000 addetti, per il 70% donne, con metà delle sedi operative al Sud. Nel 2008, secondo l’Isfol, il 70% dei lavoratori era under 35, con un terzo di studenti. Oggi gli over 40 sono già il 34%. L’addetto di call center è diventato nel tempo sempre più un lavoro e non un’occupazione transitoria per studenti universitari: inizialmente i laureati erano il 7%, ora in una multinazionale come Comdata sono il 40%. Con una retribuzione media bassa, perché quasi l’80% degli addetti è part-time.
Dal 2016 sono intervenuti diversi players per sviluppare IA e/o IAC (la C sta per cognitiva) allargando lo spettro della gamma di impieghi di questi robots nei servizi più disparati.
Afiniti è un algoritmo che combina IA e big data per prevedere in tempo reale il comportamento di chi chiama il call center di una data società, selezionando l’operatore più adatto ad interagire con il cliente, non più il primo a liberarsi. Consente di ottimizzare le tre attività principali: chiedere informazioni, comprare beni e interrompere il rapporto con la società. Afiniti profila il cliente prevedendo il motivo della chiamata e che cosa il cliente si aspetta dal servizio. Funziona?
T-Mobile ha aumentato i ricavi di circa 80 milioni riuscendo ad ottimizzare con Afiniti oltre 50 milioni di chiamate in un anno. Nel suo advisory board globale siedono tre italiani: Federico Ghizzoni, ex ceo UniCredit, Fabio Corsico, manager del gruppo Caltagirone e Stefano Marsaglia, executive chairman e co-head del Cib di Mediobanca. In Italia il suo cliente principale è Tim. Puntando a conquistarne altri tra le grandi società, verrà quotata a Wall Street entro il 2018.
Interessante anche il caso di Nimatec in Cile, che fa uso del sistema IA di IBM chiamato Bluemix, usato per rispondere alle chiamate ricorrenti (che sono tra il 35% e il 75% del totale) in modo automatico. Fornendo un servizio 24H, sette giorni su sette, senza errori e con tempi di risposta minore, rispetto ai canoni umani. Il fine è chiaro: ridurre i costi delle imprese che devono fornire questi servizi, strategia che non sempre viene ammessa. Secondo Javier Vega di Vozitel, i call bots consentono di ridurre i costi del servizio fra il 60 e l’80%, con performance di tutto rispetto visto che col ‘machine learning’ si processano simultaneamente l’invio di mail, la gestione dei messaggi di testo, le conversazioni, la loro registrazione e trascrizione.
La grande differenza fra i call bots rispetto ai vari Siri, Alexa o Cortana, sta nel fatto che i primi sono robots con intelligenza artificiale e l’obiettivo di realizzare un proposito, che sia ordinare una pizza o prenotare una visita medica. Si tratta di tecnologia proattiva che guida il cliente in un dialogo che terminerà con un risultato determinato.
I robots non sostituiranno mai le capacità di negoziazione di una persona e la sua flessibilità ad affrontare situazioni impreviste, tuttavia l’impiego di lavoratori in questo settore andrà via via a ridursi rimanendo solamente per i servizi ‘premium’ o quelli più complessi.
Si prevede che questo e il prossimo saranno anni in cui le imprese metteranno alla prova queste tecnologie per vedere se e come funzionano, a cui seguirà l’esplosione del mercato nel 2020.
L’età media dei lavoratori del settore dei Call Center è relativamente alta, vista la mancanza di turn over. I lavoratori non possiedono specifiche competenze circa le innovazioni tecnologiche. Il burnout, ormai fisiologico in questa attività, riduce la produttività e incentiva le aziende a investire sulle IA per l’ottimizzazione delle performance. La ricerca di marginalità ulteriori porta di conseguenza alla razionalizzazione e alla riduzione dei costi, che vuol dire taglio al costo del personale. La ricerca di qualità è pari a zero e le gare al massimo ribasso sono ormai la prassi. Sinora i tagli hanno messo a rischio le condizioni contrattuali e normative dei lavoratori. Con l’introduzione dell’IA viene messa a repentaglio l’esistenza stessa di questi lavori.
Stefano Artusi