Mentre il sindaco di Bologna, Virginio Merola fa la voce grossa («ci affideremo alla capacità [dei cittadini, ndr] di scelte e di boicottaggio di quelle società che trascurano i diritti dei lavoratori»), la carta di Bologna, o ‘dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano’, sembra avere una voce debole, troppo debole.
Presentata come ‘il primo accordo in Europa’ (ma dimenticano il primo accordo collettivo fra una start-up, HILFR, piattaforma danese per la richiesta di servizi di pulizia a casa, e il sindacato di categoria 3F), la carta non va molto oltre quanto avevamo pubblicato su queste stesse colonne in occasione del Primo Maggio, con l’inconveniente di non essere in grado – forse proprio per la natura stessa del documento – di incidere sulla tipologia dei rapporti di lavoro, che implicitamente sono ravvisabili solo nella forma del contratto di lavoro occasionale.
Rispetto al Menu dei Diritti, non è trascurabile l’assenza di una norma forte sulla parte retributiva. La parte relativa all’equo compenso è liquidata in due soli commi, all’articolo 4 del Capo III. La previsione è limitata ad un generico riconoscimento di un compenso «non inferiore ai minimi tabellari sanciti dai contratti collettivi di settore sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative per prestazioni equivalenti o equiparabili». Sebbene siano positive le indennità per turno notturno o per avversità atmosferiche, non è però stabilito alcun limite al cottimo, per esempio. E non vi è traccia dei rimborsi per l’uso del proprio mezzo di trasporto, sia esso una bicicletta, un motorino, un’automobile.
In materia di ‘meccanismi reputazionali’ (che nel gergo delle piattaforme sono chiamati rating o ranking), la carta di Bologna pare aver posto l’asticella molto in basso. Prevede un generico diritto ad essere informati e un potere di contestare gli esiti, e introduce la cosiddetta portabilità del rating, già presente nel Menu dei Diritti di giustapaga.it. Ma non pone nessun limite, nessuna esclusione. Lascia che un’assenza per inabilità temporanea (per malattia o infortunio) possa essere oggetto della valutazione, quando dovrebbe essere limitata o esclusa per disincentivare i comportamenti rischiosi (corro di più per recuperare il punteggio perso quando ero malato). Sono palesi le difficoltà dello strumento nell’intervenire su una facoltà propria del committente / datore di lavoro (valutare l’esito di un processo) e molto probabilmente anche una norma di rango superiore, una legge, troverebbe un limite molto chiaro nell’impossibilità di vietare la valutazione stessa. Tuttavia, ci si sarebbe aspettato una maggiore incisività nel porre limiti al rating, specie quando il punteggio genera a cascata riduzioni di commesse e penalità nell’assegnazione dei turni.
Nota positiva sono certamente l’articolo 6, Diritto alla Salute alla Sicurezza, che tuttavia manca di una qualsiasi correlazione con il Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il D. Lgs. 81/2008, come invece ci si aspetterebbe, e l’articolo 7, Tutela del trattamento dei dati personali, quest’ultimo però viziato dal riferimento ai soli dati personali, mentre la vera novella sarebbe quella della quantificazione e valorizzazione dei dati (intesi come byte di memoria) prodotti dall’interazione generata dal ciclo-fattorino, una parte del lavoro non riconosciuta e che contribuisce in misura determinante alla generazione di valore delle società che detengono le applicazioni.
Questo primo – meritorio, sia chiaro – tentativo di regolare uno dei settori (food delivery) della gig economy più a rischio per i lavoratori e per i loro diritti, indica senza ombra di dubbio i limiti di tali forme di regolazione decentralizzate (Zingaretti, ascolti!) e dovrebbe suggerire tutta l’urgenza di portare l’iniziativa al livello più alto, ovvero quello parlamentare.
Ed è proprio quello che faremo.
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