Anche nel settore della cantieristica navale il sistema degli appalti e dei sub-appalti, delle cooperative più o meno autentiche, è talmente diffuso e radicato che ormai sembra non più modificabile.
Ecco il racconto di come funziona dalla penna di Stefano Artusi:
«La gente deve sapere che le grandi e lussuose navi da crociera che vede in costruzione a Porto Marghera, uguali a quelle che vanno e vengono dalla stazione marittima, sono il frutto del lavoro di migliaia di operai, molti dei quali sono trattati come schiavi, costretti a lavorare 12 o 14 ore al giorno e vedersene pagare la metà, con il rischio di morire o ferirsi. E se protestiamo e rivendichiamo i nostri diritti veniamo lasciati a casa dall’oggi al domani, oppure cessano l’attività e se tu fai causa non riesci più a trovare il titolare tenuto a pagarti».
Questa è la testimonianza di un operaio italiano, nel 2018, a Porto Marghera (Venezia).
Le inchieste sono puntuali e tornano ad accendere un faro sulla zona grigia della cantieristica navale, le esternalizzazioni del lavoro, le buste paga truffa, le gravissime situazioni di degrado e illegalità in cui versano alcune aziende nella filiera degli appalti e sub-appalti. L’ultima in ordine di tempo è quella sulla quale sta indagando la Procura di Venezia. I ricatti denunciati dai lavoratori a Marghera, nella filiera di appalti e sub-appalti di Fincantieri, sono determinati anche dal sistema che permea l’organizzazione che si è data l’azienda a capitale pubblico, ed è un tratto comune negli altri cantieri. I sindacati chiedono un confronto col ministro Di Maio affinché i patti di legalità firmati dall’azienda non rimangano solo una foglia di fico. Il sistema di cui sopra è l’esternalizzazione sistematica che, per abbattere i costi, frammenta il lavoro in migliaia di imprese. Alcune di queste si spingono oltre il limite delle legalità, aziende che assumono e spariscono, perpetrando sfruttamento, estorsione, minacce ed evasione fiscale.
Facciamo un passo indietro, a Sestri, nel 2012, e ritroviamo lo stesso copione: operai delle aziende esterne con appalti e sub-appalti. Gli ultimi degli ultimi. I pochi a parlare sono lapidari:
«Le trasferte sono a spese nostre, le ferie non sono pagate, se ci ammaliamo perdiamo il lavoro” e poi “verso la fine del contratto scompaiono e recuperare i soldi è dura».
Buste paga (1.300 Euro) simili ai colleghi ‘regolari’ che in realtà (per loro) si chiama paga globale, gli stipendi finali arrivano a circa la metà. Davanti agli uffici della Fiom si formano file di questi super-precari (spesso anche italiani) che vanno a chiedere aiuto per recuperare gli stipendi dalle aziende fantasma che non pagano gli ultimi mesi. Cose di questo genere sono quasi la norma nella cantieristica privata e pubblica.
Passati gli anni, non è cambiato nulla. Ufficialmente le esternalizzazioni sono la risposta alla pressante concorrenza asiatica, la stessa Fincantieri si giustifica dicendo che «in tutto il mondo la cantieristica si basa sull’esternalizzazione. Solo il 20-30 per cento del lavoro è compiuto dal cantiere. Ma non è il far west: facciamo controlli sulle condizioni di lavoro, sul pagamento di stipendi e contributi. Ce la mettiamo tutta, anche se c’è sempre chi non rispetta la legge».
Il far west si evita ponendo un tetto quantitativo e qualitativo prima di accettare gli appalti esterni. Gli appalti non fanno risparmiare se la manodopera non è qualificata, se si abbassa la qualità e si producono danni. Non si possono più accettare operai esterni che lavorano 250 ore al mese, cioè 8 ore al giorni tutti i giorni (inclusi sabati e domeniche), è un rischio per la loro salute e un moltiplicatore di infortuni sul lavoro, anche per i lavoratori ‘regolari’.
Le dichiarazioni fatte da Fabio Querin (Rsu di Fincantieri) lo scorso maggio a Report lasciano poco spazio alle interpretazioni: “Quando viene l’Ispettorato del Lavoro lo sa tutto il cantiere, e tre giorni prima i lavoratori degli appalti dell’azienda da ispezionare cominciano a far pulizia nella loro zona di lavoro”. Va detto che l’accentramento delle funzioni sotto il ministero del Lavoro ha burocratizzato l’iter dei controlli. Come dice Sponchia, il presidente dell’Associazione nazionale degli ispettori di vigilanza, «se prima, in una situazione di allarme, l’ispettore poteva decidere in un paio d’ore di effettuare un controllo a sorpresa, oggi non è più possibile perché le ispezioni vanno preventivamente autorizzate nel corso della riunione mensile. E più si allarga il numero di persone a conoscenza in anticipo dei nomi delle aziende da ispezionare, più cresce il rischio di fughe di notizie».