Il documentario della tv pubblica tedesca Das Erste, sul canale ARD, titolato ‘Lo sporco raccolto d’Europa’, ha fatto scoppiare la polemica sulla frutta e verdura che si vende nei supermercati tedeschi proveniente principalmente dai campi del sud Europa, ovvero da Italia e Spagna. Da dove viene la nostra frutta e verdura?
[testo a cura di Stefano Artusi]
Per rispondere a questa domanda l’equipe televisiva si è diretta nelle baraccopoli dove vivono ammassati i raccoglitori, senza luce ed acqua corrente, in special modo ad Almeria (Andalusia) dove vivono in quelle condizioni circa quattromila persone e dove opera il sindacato andaluso dei lavoratori (SAT) che sta cercando di migliorare le condizioni di lavoro degli stagionali.
I dati ufficiali parlano di 20 ispettori del lavoro per 17.000 aziende nella piana di Almeria e di El Ejido. Ma la Spagna, come ben sappiamo, non è un’eccezione: in Italia la situazione è molto simile, affermano nel documentario [e come spesso affermiamo su queste colonne, N.d.r.], peggiorata ulteriormente da mafia e ‘ndrangheta che ricattano le imprese e occupano i terreni obbligando i proprietari a venderli a prezzi estremamente bassi.
La critica del documentario si focalizza sulle sovvenzioni europee che gli agricoltori e le imprese agricole ricevono, senza controlli stringenti che impediscano la sfruttamento dei lavoratori, ricevendo così fondi pubblici ma non rispettando affatto gli standard etici e le leggi sul lavoro. L’eurodeputato tedesco dei verdi, Martin Hausling, ha affermato che si tratta di una forma di schiavitù moderna: non andiamo più in Africa a sfruttare le persone, sfruttiamo gli africani direttamente qui in Europa.
Il gioco della domanda e dell’offerta incide profondamente anche sul rispetto delle regole, quando il prezzo è al ribasso anche il lavoro manuale che sta dietro si deprezza. La Grande Distribuzione Organizzata fa il bello e il cattivo tempo in questo settore.
Il reportage mostra anche le fatture dell’agricoltore David Sánchez Olivera, che coltiva zucchine, costretto a vendere il proprio prodotto a 3 centesimi al kg, un prezzo che lo sta portando alla rovina, infinitamente inferiore alla cifra che gli consentirebbe di sopravvivere: 60 centesimi di Euro/kg. Mentre lo stesso prodotto viene venduto al supermercato per due Euro. Un dumping dei brutale. David sente che lo stanno derubando. Nella lingua di Cervantes si usa il termine ‘explotacion‘ che ben definisce lo sfruttamento e quello a cui si va in contro seguendo questo modello.
Un portavoce dell’Ong Intermon Oxfam Germania responsabilizza la Grande Distribuzione Organizzata tedesca, la quale deve esigere una politica dei prezzi per far sì che gli standard lavorativi possano essere rispettati ed implementati anche nel sud dell’Europa senza la necessità di ricorrere allo sfruttamento.
Ma perché parlare di frutta e verdura? Il mercato ortofrutticolo è un segmento importante del ramo alimentare, da cui dipendono milioni di persone e rappresenta lo schema evolutivo dello sfruttamento delle risorse (naturali e umane) che fa da cartina tornasole anche all’industria tradizionale. La mole di frutta e verdura non può essere mai completamente controllata, perché tutto si muove seguendo i capricci del clima e dei batteri, ma anche delle guerre, degli embargo e degli accordi commerciali. Un mercato da 246 miliardi di dollari nel 2017 (rapporto di Market&Market), che crescerà mediamente del 7,1% fino al 2022 e dovrebbe arrivare a 400 miliardi nel 2030. Il rapporto Fruitimprese – l’associazione italiana delle imprese ortofrutticole – effettuato a partire dai dati Istat, dice che le esportazioni italiane sono cresciute del 3,3%, a circa quattro miliardi di euro, con una crescita del giro d’affari del 14,8% dal 2014 al 2016, nonostante le sanzioni alla Russia.
La frutta, secondo alcuni studi, costituirà nei prossimi anni il 32% dell’alimentazione quotidiana delle persone.
La provenienza di questi alimenti, lo sfruttamento della terra, delle persone, l’avvelenamento da pesticidi e l’esaurimento delle risorse idriche spingono ad adottare un nuovo modello del lavoro, un nuovo modello di vivere la terra. Partendo dalla dignità delle persone che la lavorano e la cura che se ne deve fare.