Dopo il ricevimento dei riders in Via Vittorio Veneto, sede le Ministero del Lavoro, Gianluca Cocco, co-managing director di Foodora Italia, ha dichiarato ieri ai microfoni di Zapping (Radiouno) che la società è disponibile al dialogo con tutte le parti.
Certamente a spaventare Foodora è l’ipotesi di una eccessiva parcellizzazione regolamentare del settore, da città a città. La gestione amministrativa sarebbe più complicata e aumenterebbero i costi. Cocco sostiene che i riders di Foodora hanno maggiori tutele, essendo inquadrati con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, diversamente da certi competitor che invece usano la collaborazione ex art. 5 comma 2 del Dpr. 633/1972. I riders di Foodora ricevono i contributi e hanno le tutele, sono assicurati per eventuali danni a terzi, dice Cocco.
Incalzato sul salario minimo (definito in trasmissione, purtroppo, reddito minimo), Cocco non ha preso posizione. Ha affermato che i fattorini oggi mediamente, con due/tre consegne, guadagnano dai dieci ai quindici euro all’ora, compresi i contributi e l’assicurazione. Nega il cottimo («sono pagati a prestazione», come previsto dalla tipologia contrattuale) e dinanzi alla prospettiva di un contratto nazionale avverte: la cornice è quella del lavoro autonomo, i riders possono lavorare quando vogliono, possono accettare i turni e rifiutarli, anche all’ultimo minuto. Non c’è obbligo di lavorare. La paga oraria non sarebbe meglio, fa intendere: oggi i riders guadagnano il venti o il trenta per cento in più della retribuzione oraria prevista dal contratto della logistica o dei servizi.
L’alzata di scudi di Foodora è emblematica. L’occasione offerta dal neo ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, è quella di sedersi al tavolo delle trattative per neutralizzarle. Per cristallizzare la posizione di lavoratori indipendenti per i ciclo fattorini. La subordinazione è vista come una minaccia, la minaccia di un aumento dei costi amministrativi. Un aumento tale da far venir meno la convenienza economica dell’intermediazione.
L’iniziativa del Ministro del Lavoro rischia quindi di diventare la migliore occasione per le società del food delivery di lasciare tutto così com’è.